30 December 2013

Grazie Mario!

Questo post doveva intititolarsi Ciao 2 0 1 3, non mi mancherai e doveva iniziare più o meno così:

2013. Un anno parecchio denso. Duro e difficile.

Poi sono scoppiata a ridere mentre lo scrivevo perchè ho pensato al mio amichetto col quale condivido una passione sfrenata per Non ci resta che piangere. Tipo che lui comincia a citare il film e io rido come una scema e gli altri due ci prendono per il culo. Ma in realtà è che sono contenti di vederci ridere e forse tirano persino un sospiro di sollievo, Finchè ridono.... E ridono! Ridono talmente che hanno deciso che lui è Mario e lei Saverio (chi altri poteva essere?). Ridono talmente di gusto che il proposito più a breve termine del 2014 è rivedere quel film con lui per iniziare il 2014 tra grasse risate. 


Mario, il mio amico che ha voglia di ridere, mi ha detto l'altro giorno, massaggiandosi la schiena dolorante: Squa (buffo scriverlo, ma stavolta è vero, perchè lui, insieme a pochi altri, mi chiama davvero Squa nella vita reale)... Squa è stato un anno duro, ma proprio duro, durissimo. Guarda si, proprio difficile. Io sorrido, perchè Mario l'anno scorso di questi tempi mi diceva esattamente la stessa cosa. Uguale. Probabilmente l'anno prima pure. Ma no, Squa, quest'anno di più, credimi. Duro duro duro. E non è che Mario abbia voglia di lamentarsi. E' che è persona di sensibilità sopraffina e le cose le sente, non gli passano sopra. Con una sensibilità così le brutture della vita si sentono forti e chiare, nitide, come schiaffi repentini che poi lasciano la guancia dolorante a lungo. Ma poi pure le cose belle passano lasciando quel velo di malinconia e poca leggerezza. Però io, caro Mario, io ti vedo proprio bene alla fine di questo 2013 e lo dicevo giusto stamattina alla Teddy chattando, e quando vedremo Non ci resta che piangere lo dirò anche a te. 


Un'altra cosa ti ho già detto ieri sera, in questa strana cena per me -forse anche per il chercheur- fuori dallo spazio-tempo... perchè era un anno buono che non mi trovavo in una situazione così e mi ero dimenticata che cosa significa essere circondati da amici atavici, come li chiamo io... e alla fine è inutile girare in tondo a questo stato depressivo e cercare scusanti e ragioni. Questa è una delle ragioni principali. Essere privi di una cerchia di amici che ti sanno, nonostante le contraddizioni intrinseche. Parecchia contraddizione, perchè sanno qualcosa che non c'è più, in fondo. Ma c'è pur  sempre, per altri versi. E allora ti senti di nuovo piccola e scura come il brutto anatroccolo permaloso che eri, mentre il cigno che vorresti diventare, cerca posto, scalpita, si picca, pure lui. Ed è un gran putiferio. Di occasioni perdute. Di rimpianti. Di cose che non saranno mai più. Di nostalgie di mondi ormai inesistenti. Di cose che vanno lasciate andare, come lanterne sull'acqua (un po' come diceva Close in un bellissimo commento).


Te l'ho detto ieri sera, ma non so se mi ha ascoltato, che conviene che ti prepari al prossimo livello, perchè, ascolta a me, il livello 2014 è più duro ancora, ne sono certa. Sicura. Certificata.


 Questo post doveva intitolarsi Ciao 2 0 1 3, non mi mancherai, invece -a celebrare il fatto che è bello cambiare programmi, anzi in fondo è la cosa più bella che possa capitare, quando si ha il potere di scegliere- questo post ora si intitola Grazie Mario!

Ed è dedicato a Mario e alla sua compagna, che il prossimo sia il vostro anno ragazzi. Suerte!

29 December 2013

Toddler blues

Adoro la luce che c'è al tramonto nella cucina di mio padre.
La giornata volge al termine, la notte sta per sopraggiungere e la cucina rossa e arancione si tinge d'oro e di speranza. Sa di promesse e speranza per il futuro


Il presente, invece, ha un suono buffo che fa: Toddler blues.


Tante mamme sono state sopraffatte dal post parto, lo raccontano come un momento nero, un pozzo senza fondo. Io mi vergogno a dirlo, ma oggi mi faccio coraggio. Io non ho avuto la depressione post partum. Io ho avuto l'euforia post partum. Mi sentivo una leonessa, ero felice, centrata, allegra. Quella sensazione è durata fino al primo anno circa dopo il parto, quando ho smesso di allattare. Anzi è finita un poco prima, più o meno quando ho traslocato. Lì si è rotto l'incanto, ma ancora tenevo botta. Quando l'allattamento ha volto al termine c'è stato l'inizio della vera e propria caduta. Il pozzo l'ho visto nell'era del toddler, per così dire. Quando quello che era un baby è diventato un toddler che cammina e dice sempre e solo no. Che si sveglia presto e vuole compagnia. E all'improvviso non ama più stare da solo. E ti prende la mano e pretende che tu ti sieda vicino a lui. E che non puoi cucinare, perchè tu sei suo ostaggio, e non può esistere niente altro al di fuori di lui. La claustrofobia. Poi l'ansia improvvisa che gli è presa e al buio si paralizzava. E a letto non ci voleva andare. Erano i tempi della trincea. Dalla quale mi pare che lentamente, per molti versi, siamo usciti fuori, mi pare.  A botta di lunghe ore a giocare in camera sua insieme, a suon di baci e coccole e abbracci stretti. E canzoni. E storie sussurrate all'orecchio. In questo post-natale Pistacchio sembra finalmente di nuovo sereno, come lo ricordo. Nonostante dorma quasi ogni notte in un letto diverso dalla notte precedente. Nonostante veda tanta gente e non ci sia affatto abituato. Nonostante la sua mamma sia mica troppo troppo spensierata.


Insomma l'euforia post partum -almeno la mia- non era solo una questione fisiologica. Non era solo la biochimica della felicità e dell'allattamento. Quell'euforia là era sostenuta da una vita lieve in un paesino medievale, un lavoro bello che mi aspettava. Un nido allegro dove andare a piedi spingendo un passeggino e tornarci in bicicletta. La comodità di un paesino che lo avessero disegnato non poteva essere più vivibile.

Conciliazione.

Conciliazione non è solo una mamma, un papà, la prole, degli orari, una rete di aiuto al contorno. Concilizione sono servizi, e anche allegria. Anche una vita semplice. Con tutto ben disposto intorno che non si debbano fare i salti mortali per vivere. Che l'importante è vivere, non le attese in coda al confine tra un pezzettino di vita ed un altro.


E quindi credo che non ho avuto il baby blues anche perchè la vita nel paesino medievale era conciliante. Perchè avevo una rete intorno e ho a fianco un papà che condivide a metà la genitorialità. Perchè l'avventura è iniziata con noi al centro, senza interferenze e conflitti di interesse. Poi c'è stata anche una cosa fondamentale nella nostra prima settimana, in Olanda si chiama kraamzorg. La neomamma e il suo piccolo tornano praticamente all'istante a casa dall'ospedale. Il giorno stesso per parti senza complicazioni avvenuti prima del mezzogiorno, l'indomani per tutti gli altri casi. A noi toccarono 24 ore piene piene e abbondanti, nonostante Pisti sia nato alle 7. Dico con certezza che furono le 24 ore peggiori della mia mammitudine. Una famiglia era nata eppure ci ritrovavamo separati ed in terra straniera. Volevo tornare a casa al più presto, nonostante il terrore di quel che mi aspettava. Per fortuna ci aspettavano anche otto ore al giorno di kraamzorg: assistenza post-parto, a spese dell'assicurazione sanitaria. Che significa una persona che passa una giornata a casa della neofamiglia a fare attività di ogni sorta. Pulire, cucinare, rassettare, dare una mano nel ricevimento ospiti che è tanto di moda in Olanda fin dal primo giorno. Ma soprattutto, per i genitori alle prime armi, un corso accelerato di bimbitudine. Controlli quotidiani di neonato e neomamma. Peso, medicazioni. Spiegazioni varie. Primo bagnetto, che in Olanda fanno dal primo giorno, nonostante il moncone ombelicale sia ancora al suo posto. 


Al terzo (o quarto? non ricordo più) giorno dal parto, quando in seguito ad una piccola divergenza di vedute col chercheur scoppiai a piangere e non si trovavano più i rubinetti,  la kraamlady stava giusto per andarsene. Ricordo lei che si ferma sulla porta, con la giacca in mano, torna in dietro, afferra il libretto di istruzioni, che pareva il libretto dei compiti delle vacanze di un bambino di quinta elementare, con disegnini da compilare (quali curve del peso, temperature basali), spazi da riempire (poppate, diari giornalieri di cacche e quant altro). Apre il libretto a pagina x e mi mostra, vedi, lo dice anche qui: il terzo (o quarto?) giorno si chiama weepingday, gli ormoni cadono. Piangete tutte. Ma poi passa. 

Io non sapevo se ridere o piangere più forte. Neppure il beneficio della specialità mi si concedeva. Maledetta benedetta biochimica. Piangete tutte.


Ho scampato il baby blues grazie ad una congiunzione socio-geografico-astrale che mai più si ripeterà. Ora, pensavo, chi mi salva dal toddler blues?
Poi, il giorno di Natale ho visto la luce. Si chiama nipotino Secondo e ha 3 anni. Non vedevo l'ora che i cuginetti si riconoscessero ma allo stesso tempo avevo paura che Secondo, il nipotino pestifero mi corrompesse il dolce pargoletto che fu angelicato, già sulla via nefasta del toddlerume.


Hahahahaha
Il nipotino fu pestifero aveva 2 anni e ora ne ha 3 ed è un ometto versione mignon ragionabilissimo. Ci puoi parlare, chiedere collaborazione, spiegargli. E lui non solo capisce, ma accetta fino. Cioè lui accetta quello che gli dici e fa quello che gli stai chiedendo. Mirabile dictu. Il bimbino pestifero era Terzo a sto giro natalizio, ossia il mio. Secondo era quello coscenzioso e collaborativo. Quarto era il patato di 7 mesi che dove lo metti sta. E mia cognata preoccupata a dire quindi mi stai dicendo che l'anno prossimo tocca a noi *questo*. Sento deglutire. No perché si, ora capisco perché ti sento provata. In effetti è un filino impegnativo. Deglutisce di nuovo.


Ed io che mi dico che cazzo, in mezzo a tutto il resto, sono in un ciclone in effetti. E cazzo pazienza ci vuole. Pazienza e zen. Cazzo, cazzo cazzo. Ce la faremo. E poi che i bimbi fanno davvero del loro meglio. E noi dovremmo fare come loro. Deglutisco anche io. Il toddler blues passerà. E poi sarà la volta di un nuovo blues. E poi un altro ancora. 

Per ora mi godo questo tramonto.

La luce in fondo al Toddler blues



24 December 2013

dedicato a chi ci prova o ci proverà

Il problema del natale è che non c'è una via di fuga credibile. 
Restare inchiodati lì dove non vuoi essere toglie il fiato.


Cioè dove vai? Cosa fai? E con chi? A natale se devi fuggire you are on your own, non c'è alternativa.
Mi ricordo una vigilia di natale in cui quel ragazzino con i capelli lunghi mi aveva promesso una telefonata. Si dai ci becchiamo, ti chiamo. Si dai che bello! Ciao.
L'ho aspettata parecchio quella chiamata salvifica, ma non è mai arrivata. Quell'anno lì però non mi sono data per vinta. Ho trovato una via di fuga solitaria che forse non era credibile, ma era parecchio coraggiosa. Mi rivedo ancora lì, al buio, le lacrime agli occhi, ma tanto orgoglio nel cuore. Cinema Maestoso in piazzale Lodi, anno cosa? 1999 forse. Quale film? Non ricordo. Ventidueanni o giù di lì e l'esigenza di fuggire via. 


Credevo di aver smesso di fuggire, ma forse non è vero. Ho passato una giornata parecchio decadente, crogiolandomi tra pensieri abbastanza tristi. Ma va bene così. Guardo comunque  in faccia al futuro. Guardo avanti. Penso che se proprio mi tocca fuggire, almeno basta coi sensi di colpa. Se deve proprio essere fuga, che sia in allegria, non con contorno di patate e flagellazioni oggettivamente inutili.
Passo in rassegna alcuni propositi, oggi. Detesto fare propositi. Perchè raramente sono affidabile. Un tempo lo ero. Ero una roccia. Se decidevo una cosa andavo fino al suo fondo, la rivoltavo come un calzino finchè non era mia.
Poi forse ho fallito un paio di cose importanti. Ed ho perso la determinazione, la forza, l'entusiasmo. 
Invece a ventanni mi sentivo dio. Un dio triste e malinconico, ma dio onnipotente.


Ci sto provando a sorridere, a scherzare, a giocare. E mi stupisco parecchio di riuscirci in parte. Stasera però voglio pensare a chi non ce la fa. Dedico un pensiero a chi oggi  non ci sta dentro. A chi non ce la fa, a chi è schiacciato dal natale, dalle sue ombre pesanti. E da tutto il resto.
Dedico un pensiero soprattutto alle anime giovani. A ventanni certe cose sono molto faticose. Però non siete soli e se anche siete soli oggi, non lo siete in potenza. Non lo sarete un giorno, se la speranza sarà abbastanza.


Di propositi non ne voglio fare. Vorrei solo riuscire a fare mente locale e ricordare cosa mi ha portato di bello quest'anno, perchè pensare solo a quello che non mi ha portato è troppo semplice ed ingiusto. Soprattutto, più che propositi, voglio farmi una promessa. Voglio stendere una rete di salvataggio e voglio vederla sempre lì sotto, a ricordarmi che non deve essere per forza così difficile. E la scelta è mia.

E' ora di riprendere in mano quella matrioska che è rimasta in brutta copia tra le mie bozze. Tra l'altro, ne ho comprata una blu al mercatino di natale. L'ho comprata perchè mi faccia da promemoria che è ora di riprendere il cammino. Non sono arrivata abbastanza lontano e da sola non ce la faccio. Ho bisogno di aiuto e chissà forse anche di un supporto.   Credevo che avrei continuato a rifiutare di doparmi per stare meglio. Non sono sicura di sapere più le ragioni di questa mia testardaggine. Non so neppure se voglio ricordarmele. Invece ho deciso che mi arrendo. Lotterò come posso, ma poi mi prometto che se va avanti così io accetterò di modificare la mia biochimica. Il natale 2013 è il natale della resa. Mi arrendo. E decido di lottare, due facce della stessa medaglia. E' il fronte della battaglia a cambiare.


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Oggi ho simbolicamente preso in mano un sudoku. Ho iniziato a risolverlo, armata di una penna, rosso natalizio. In memoria di quel natale, che a giudicare dall'ironia che ci ho messo dentro, non era andato neppure troppo male. Lei stava bene. Lui era despota come normale. Succedevano cose. Avevo 30 anni scarsi e la mente ancora fresca. Il sudoku di oggi mi ha messo di fronte ai miei neuroni invecchiati. Oggi neanche io riesco più a risolverlo senza gli appuntini.

Quel post del sudoku è uno dei post a cui tengo di più in assoluto.


E oggi lo dedico di cuore a chi fa fatica. 

buon natale,
che lo amiate o lo detestiate,
che porti qualcosa di buono...

22 December 2013

vino e spumante a natale

Era fine maggio-inizi giugno. Pisti aveva quasi quattro mesi, lui, mio padre, era in visita nel paesello medievale. La mia scusa per convincerlo a venire era che Pisti iniziava il nido ed io a lavorare e che quindi una mano ci avrebbe fatto comodo. Non che non gli facesse piacere venire. Anche lui, come me, adorava il paesello medievale. Usciva di casa al mattino per prendere il giornale. Con 10 minuti appena di passeggiata tra i canali era all'edicola del centro che aveva i giornali internazionali.
Andava a fare la spesa nel piccolo supermercato sotto casa, poi ogni giorno esplorava una viuzza nuova, lungo i canali. Gli piaceva quella dimensione. Deve essersi detto: questo è il paradiso. Il fatto che ad un certo punto avesse lasciato la sua schiuma da barba, il colluttorio e si fosse comprato una tuta e delle ciabatte da lasciare nel cassetto dedicato a lui, nella casa in Fockstraat, la diceva lunga. Il messaggio era arrivato a destinazione: se voi mi invitate io verrò con gioia a passeggiare tra i canali e darvi una mano.


Indossavamo le giacche autunnali in quei giorni di fine maggio, come ogni primavera olandese che si rispetti faceva fresco e minacciava costantemente pioggia. Eppure quel giorno, mentre passeggiavamo, scoppiò un caldo improvviso, che sorprese noi e le nostre giacche pesanti. Tornammo a casa accaldati, io bevvi acqua, lui il suo te quotidiano, sorseggiato a tutte le ore. E alternato al jack daniels. Per fortuna in visita da noi nel paesino medievale limitava gli alcolici ai pasti. O almeno credo. Certo perseverava nella sua ostinazione di non pranzare nè fare colazione. Un solo pasto al giorno, a sera, e litri di te poco zuccherato, tutto il santo giorno. Un'abitudine che aveva da più di trent'anni, iniziata nei suoi primi anni di lavoro, per non perdere tempo col pranzo. Negli ultimi anni si erano aggiunte dosi sempre più massicce di superalcolici. A tutte le ore del giorno.


Quel pomeriggio eravamo nel soggiorno-cucina, era tornato anche il chercheur che ci aveva salutato ed era andato su a fare la doccia. Ci mettiamo a preparare la cena. Lui è ai fornelli, con una mano gira il sugo, nell'altro braccio tiene Pisti. Scuoto la testa, vado a recuperare Pistacchio dalle sue braccia. Cerco di essere calma e serena mentre gli dico che non è molto sicuro tenere il bimbo vicino ai fornelli. Tra me e me penso che non lo so mica se mi sta dando una mano o se piuttosto sta complicandomi la vita. Comuqnue sono contenta che sia lì. Da quando Lei se ne è andata ho potuto provare a recuperare il nostro legame. Quello di quando ero bambina, che a ricordarlo sembra la vita di un'altra persona, non la mia. 


Dopo pochi minuti lo vedo seduto al tavolo. E' pallido e un po' troppo immobile, davanti a lui l'immancabile tazza di te. Gli chiedo seè tutto a posto. Mi dice che non si sente molto bene. Mi allarmo. Se mio padre, che non si lamenta mai di niente, dice che non si sente bene, la cosa è seria. Vado a mettere Pistacchio nella sdraietta posata sul tappeto. Non faccio che sistemarlo, mi giro e vedo mio padre grigio, il volto ha preso un'espressione indicibile, una non-espressione in realtà. Si sta accasciando di lato, io quella non-espressione l'ho vista solo una volta in vita mia. Penso semplicemente che è morto. Grido con tutto il fiato che ho in corpo il nome del chercheur che in quel preciso momento forse è sotto la doccia. Grido e penso che non mi sentirà mai. Mentre urlo, scatto a sostenere mio padre, un secondo dopo comincia a vomitare una roba nera (sangue?). Per quanto forse sia allarmante, invece mi rincuora, penso che se sta vomitando non può essere morto. Non so se poi è proprio così, ma quel pensiero in quel momento scaccia il mantra tetro che mi martellava in cuore E' morto anche lui. E' morto. Mentre io sostengo mio padre, il chercheur chiama l'ambulanza e va a rassicurare Pistacchio, che, lui, piccolo angelo, non ha battuto ciglio e anzi continua a sorridere al nonno.

Poi non ricordo bene. Riprende conoscenza, lo facciamo sdraiare sul divano, arriva molto rapidamente l'ambulanza. Gli fanno delle domande. Lo fanno cambiare. La cosa mi aveva stupita. MIo padre appena collassato adesso è nudo nel mio soggiorno, si infila pantaloni e maglietta puliti. Ci caricano entrambi in ambulanza. Andiamo in ospedale

Passerà la notte lì in osservazione. Accanto a lui una donna picchiata dal marito, per quel che riesco a capire dei brandelli di conversazione che il mio olandese riesce a captare. 

La mattina dopo accompagno Pisti al suo primo giorno di adattamento al nido (!?). Ricordo quando avevo chiesto deglutendo. 
Ma come? E io non resto con lui la prima volta? 
Signora l'adattamento è per lui, non per lei.... 
Batavi...

Lascio Pisti e vado in ospedale. Gli faranno una gastroscopia. Lo accompagno, questione di tradurre per lui e ritradurre per loro il suo inglese un po' scarno.  Il dottore mi dice che devo aspettare fuori, ma di non andare via. GLi faranno un'anestesia che durerà un breve lasso di tempo, si sveglierà, ma sarà confuso e non ricorderà niente, meglio che resti nei paragi per rassicurarlo.


Aspetto. Finchè mi richiamano dentro. Il dottore mi dice che non è nulla di grave, ci sono delle ulcere, hanno preso delle biopsie e stanno facendo delle analisi, ma molto probabilmente non c'è nulla di grave. RAcconto al dottore delle abitudini alimentari di mio padre: digiuni prolungati, parecchio te e soprattutto molto alcol. Non credo di dovregli strizzare l'occhio per cercare una certa complicità, mi pare ovvio che gli farà una ramanzina, gli dirà di darsi una regolata, gli farà prendere almeno un piccolo spavento. Intanto mio apdre si è svegliato. Il dottore gli fa il riassunto. Io ricalco, sa il digiuno, il te, l'alcol.  Quell'idiota dice che nulla di tutto questo è correlato con l'ulcera. Che non c'è nessun problema e può continuare a mangaire e bere quel che vuole. Sono sbalordita. Non dico più nulla.


Ci mandano in un reparto, mio padre sonnecchia, poi riapre gli occhi ed è disorientato, mi chiede dove siamo, cosa è successo. Gli chiedo cosa si ricorda. Non ricorda nulla dell'esame, non ricorda niente del medico. Gli dico dell'esito, ha delle ulcere. Il dottore ha detto che devi assolutamente mangiare almeno 3 volte al giorno, limitare il te e soprattutto gli alcolici.


Ma nulla di questo è stato convincente per lui. Quella sera stessa ci scherzava su. Cosa che in sè non era neppure male. E' stato quando ha preso il vino dalla dispensa che sono esplosa.


A piangere.
E inveire contro di lui.
Papà smettila di scherzare...
 io ti ho visto morto.
Inveivo dell'altro che non ricordo, che se voleva continuare a farsi del male liberissimo, ma che io non volevo stare lì a guardare. Che lo facesse da solo, lontano dai miei occhi. Una cosa così.


Credo che mio padre mi voglia molto bene, e credo che abbia avuto pietà del terrore che ha sentito nella mia voce.  Dal giorno successivo non solo ha fatto colazione, pranzo e cena tutti i giorni, ha eliminato te e caffè, ma soprattutto non ha più toccato un bicchiere di vino o altri alcolici, se non in rare occasioni poche gocce di cortesia. Incredula ho domandato a chiunque si fosse seduto alla sua tavola se la cosa non fosse limitata alla mia presenza. Pare di no. A meno che non abbia sgarrato in solitudine, questo non posso saperlo.


Quel giorno ho mentito a mio padre e non me ne sono pentita neppure un minuto. Dopo avere mentito ho lasciato che vedesse il mio terrore, senza filtri. Mio padre da allora è diventato un uomo migliore. A poco a poco, passo dopo passo. Non è più l'uomo che era. Non è questa la sola ragione. Quella più grande è che ora è un uomo libero.


L'altra sera ci ha mandato una mail. L'oggetto era vino e spumante a natale. Era contento di farci sapere che le sue ulcere sono sparite e che il suo divieto sugli alcolici è stato rimosso dal dottore che gli ha fatto la gastroscopia.


Non ho provato gioia. AL contrario. Ho pensato che uno di noi avrebbe dovuto accompagnarlo e confabulare, di nuovo, col dottore o senza, nello spazio di memoria labile del dopo-gastroscopia.  Per preservare quell'uomo nuovo e difenderlo da quello che fu. 


Alcolizzati, si chiamano, quelli come mio padre fu.

21 December 2013

Cartoline dal Natale

Ricordate l'iniziativa della scorsa estate Cartoline dalle vacanze?  Ci eravamo talmente divertiti che che  abbiamo pensato di replicare per questo Natale. Oltre a Francesca, questa volta menzione d'onore andrà a Daniele che non solo si è unito allegramente a noi, ma ci ha proprio tirate in mezzo, come si suol dire nel milanese.
  


Venendo al dunque... avete voglia di condividere con noi una foto rappresentativa del vostro Natale?

Dice: ma come? Tu non eri quella che odiava Natale? 
Io continuo a non andarci troppo d'accordo, in effetti. Ma a due amichetti virtuali così energici e allegri non si dice mai di no. Quindi mi lascio trascinare, mi faccio accompagnare, voglio proprio vedere quel che succede. Ce la fate a farmelo piacere di più questo Natale? Fatemi vedere cos'è per voi. Io prendo  una coperta calda, una tazza di cioccolato e sono pronta a seguirvi...



 


Come funziona?

  • Se avete un blog e scrivete un racconto sul vostro Natale postate il vostro link alla fine di questo post di Francesca

  • Se usate twitter inviate un tweet esattamente come se fosse una cartolina: allegate una foto e mettete l'hashtag #cartolinadalnatale e indirizzatela a  @patatofriendly  @squabus e @babbonline inserendo il link al vostro post.

  • Se invece non avete un vostro blog ma volete lo stesso raccontare il vostro Natale inviate una mail con una foto a uno dei tre (squabus, Patatofriendly o babbonline, tutti @gmail.com)... se riuscite comunque ad inserire nella mail la tag #cartolinadalnatale ci aiuterete a filtrare gli input. L'altra volta avevamo il terrore di dimenticare qualcuno...


Avete tempo fino al 7 gennaio per farlo, poi le raccoglieremo per farne una mega-cartolina comune.
Potete sbirciare le cartoline in arrivo in questa bacheca Pinterest chiamata #cartolinadalnatale.

Credits: Daniele



07 December 2013

Canto sconclusionato dell'ultimo natale triste

Come va?

Va che ho l'impressione di avere sempre meno tempo, ma la voglia di scrivere è un po' tornata. 

Va che sono raffreddatissima da 2 settimane piene oramai e sono stanchissima e provata.
Va che però c'è il sole e l'aria è tiepida e vivere a Sud tira su il morale.

Va che stasera il chercheur parte e se ne va dall'altra parte del mondo per undici giorni. Non è la prima, non sarà l'ultima, e fa un effetto un po' così. Va che di questi tempi quei due sono tutti pappa e ciccia. 
Va che con Pisti, con santa pazienza,  avevamo recuperato la serenità del sonno.
Va che però poi ho fatto un paio di sciocchezze. Perchè avevo bisogno di stringere a me un bambolotto e ho finito per distrturbare quell'equilibrio, appena un attimo dopo che l'avevamo ritrovato. 
Va che penso che fino a oltre natale io ancora lo desidero quel bambolotto da abbracciare ogni mattina all'alba, che mi sta diventando troppo triste. L'alba, non il bambolotto.


Va che quindi il chercheur svolazzerà in sud america per conferenze e per una piccola vacanzina meritatissima, che spero gli faccia un gran bene.
Va che, grazie al cielo, qualche numero di telefono da comporre in caso di bisogno, di tristezza, ma anche di allegria, adesso ce l'avrei anche in rubrica.
Va che comunque viene il nonno a farmi da backup per una parte di quegli undici giorni. Va che la cosa in sè non lo so mica se si può tradursi in essere aiutata. Però dai non viene neanche solo.

Va che viene con la zia Susanna. 

Va che zia Susanna, la mia zia giovane e preferita, ha perso il marito, lo zio giovane e saggio, poco più di 5 mesi fa. 

Va che zia Susanna mi sorride per skype, per telefono e fino per whatsup chè è stata smartizzata anche lei. Mi sorride e dice cose allegre. Poi mi scrive queste email tristissime, che il cuore a leggerle ti si incrina e vorresti farti carico di almeno un pezzetto della sua disperazione. Parole di una tristezza normale e giusta e sacrosanta. Era l'amore della sua vita e io non ne ho visti molti altri così. Zia SUsanna era appena maggiorenne, quando fecero la fuitina. Se ne andò di casa, si sposarono. Nessuno della famiglia di lei andò al matrimonio. Credo che mio nonno lo vietò  Anni dopo dovette cedere ed accogliere il genero e le due nipotine in famiglia. Non poteva fare altrimenti, perchè si capiva già da allora che alla resa dei conti zia Susanna e il suo marito saggio sarebbero stati la coppia più felice tra tutti. Finchè. 

Va che zia Susanna mi scrive dicono che il tempo guarirà il mio dolore e invece mi sembra sempre peggio. Come glielo dico che 5 mesi sono niente? Che è anche probabile che il peggio deve ancora arrivare? E io neanche me lo posso immaginare cosa sia perdere l'amore così. Un amore in quel modo lì, che fai la fuitina e poi convinci tutti che hai fatto una cosa buona e giusta. 

Però so che negli ultimi due anni, ogni giorno, se mi fossi lasciata andare, avrei potuto recuperare il dolore più nudo e crudo, esattamente tale e quale al primo giorno. Solo un po' attutito, forse, come un grido sordo, ma il dolore è uguale. Preciso al primo giorno. Solo senza fiato. 
Va che a volte mi lascio andare.
Va che non avrò il coraggio di chiederle se sono riusciti a salutarsi. Che poi mi domando se questa ossessione del Saluto è solo mia.  


Va che mio padre e zia Susanna si sono appena messi in viaggio e arriveranno stasera tardi e sono molto emozionata perchè mio padre vicino a  sua sorella, la zia Susanna, è una persona migliore.
Va che dovevo fare un post a parte per zia SUsanna, che se ne merita anche cento. Invece sono in fase put-purrì. 

Va che, al di là di zia Susanna, comunque mio padre è proprio convinto sulla sua strada di redenzione. Mangia tre volte al giorno, non beve più. Davvero. Sorride spesso. Non è più nevrastenico, anzi, si affanna a cercare i regali giusti e ha persino comprato un albero di natale. Perchè dice che ormai i nipoti sono in un'età dove ha senso avere un albero di natale e tutto il resto. Questa cosa un po' mi ha commossa. Anche se mi sa tanto di scusa. E' lui che vuole recuperare il natale, per noi tutti, per sè, ed è giusto. Ora che i nipoti hanno in ordine crescente: sei mesi l'ultimo, quasi 2 anni, 3 anni, e quasi 10 anni la Prima (ovvero colei che ancora non si capacita di essere l'UnicA, chè anche l'ultimo arrivato è maschio).  Iniziamo ad essere una folta tribù. Sette adulti più quattro bambini, fa undici, una squadra di calcio, proprio come sarebbe piaciuto a Lei, che invece sta lassù negli spalti. Speriamo faccia il tifo.


Va che appena l'ho visto ho desiderato fortissimamente questo librino bellissimo per Pistacchio. E anche quell'alberello di stoffa, da appendere all'albero di natale di mio padre. E poi ai prossimi. Vorrei tanto che fosse mio. Come una bamboccia.

Va che voglio cose belle, voglio bei pensieri.

Va che sono stanca di odiare il natale

Va che, giustappunto, ho passato in rassegna la compilascion dei natali passati, quelli che ho diligentemente etichettato ioodionatale.

Il natale del 2006, in transizione tra Francia e gli USA,  ha avuto il primo ed il più bel post etichettato ioodionatale, scritto sotto il segno del sudoku. Talmente bello che nel natale del 2007, in cui tornammo in patria per le vacanze, potei solo evocarlo. Il natale del 2008 non era stato neanche male, chè, si sa, gli eventi tristi uniscono. Quell'anno lì era il primo natale che tornavamo in patria dall'Olanda. Il natale del 2009 auspicavo nuove tradizioni benefiche. Il natale del 2010 è stato il più devastante degli ultimi anni. PArtita con le migliori intenzioni e caduta vittima di esse, mandai tutto in vacca, infligendomi da sola la totale privazione delle cose di cui più avevo bisogno. Fu l'inizio della disillusione, del crollo di alcune certezze. Che in realtà non erano mai state così certe. Fu l'inizio della vita ancora più orsa. La caduta delle maschere.
Il natale 2011 non fu scritto, fu il natale del pancione grande e di quel dolore immenso nel cuore. Così profondo che non potevo permettermi di tornare 'a casa'. Venne mio padre e i suoceri e lo passammo in Olanda. Fu bello. Diverso. Il più bello. Poi, dopo natale,  per una volta noi restammo e loro partirono. E questo per un emigrato è una cosa proprio preziosa. Non dovere sempre essere quello che parte via. Non dimenticherò mai il capodanno, tutti nel Grote Markt a vedere i fuochi. Tutti che si abbracciano sorridendo. Io ed E., che quell'anno aveva perso il fratello, che ci guardiamo in lacrime e poi ci abbracciamo, in silenzio. 

Neanche il natale 2012 fu scritto. Fu il primo di mio figlio. Realizzai che attraverso di lui mi si costringeva a guardare in faccia questa cosa del natale. Mi sentii soffocare.

Va che sta arrivando il natale 2013. Nonostante tutto, io lo voglio scrivere con allegria. Voglio esorcizzare quel senso di soffocamento. Va che ci provo.


Va che, anche se forse  non centra nulla con tutto il resto, avrei anche voglia di riuscire a scrivere la fobia dell'armadio, perchè ci sono nel mezzo e vorrei affrancarmene una volta per tutte, o se non per sempre, almeno per un po', come già era successo, con un po' di aiuto.


Va che riscopro che le lacrime della rilettura di alcune cose scritte, no, non  mi fanno stare bene, ma le sento sensate. Le lacrime. E allora mi rileggo molto. E piove parecchio, quest'autunno. Poi leggo lei e mi domando quando ne sarò capace io? Ne sarò mai capace?

Va che a volte mi viene un desiderio inconsulto di aprire quella porta. Ma poi ho paura che ci sia un precipizio.


Va che, nonostante tutto, va meglio. O almeno credo.


Va che ora vorrei sapere..voi come va?

06 December 2013

Baby horror picture show

Una mattina prima dell'alba di un periodino un po' triste, dove i miei pensieri andavano sempre e comunque a parare ... il chercheur si alzò preoccupato per venire a vedere che succedeva. Sta forse singhiozzado? si sarà chiesto, uscendo dal letto e facendo capolino alla porta del salone. Io me ne stavo lì sul divano, di fornte al computer, cercando di soffocare certe grasse risate che mi stavano rimettendo al mondo.


Stavo usando la mia personalissima carta, immancabilmente vincente, per tirarmi su il morale. Guardavo una foto orribile di Pistacchio. Anzi non una foto. La foto, la foto più orribile che si possa immaginare di un bimbo. Eravamo nella prima casa di Montepello, quella di fronte lo zoo, col giardino di terra, quella dove il sole batteva solo 5 minuti al giorno e solo quando l'autunno aveva spogliato gli alberi. La cucina aveva una "finestra" sul salone. Era molto pratica, così quando avevo da cucinare, chiudevo la porta a vetri della cucina e sorvegliavo Pisti dalla finestra. Lui  gattonava senza sosta nel salone spoglio, con gli scatoloni in un angolo. evviva la salubrità, poi ogni tanto faceva capolino dalla porta e appiccicava il naso sul vetro.


E c'é questa foto che gli feci da dentro la cucina, lui visino appiccicato al vetro che é proprio l'essenza dell'orrore. Shining in confronto é un cartone della Pimpa. Pisti in sta foto è brutto, ma brutto da fare paura. E dopo la paura, da far ridere anche la persona più triste del reame. Foto perfetta per certe circostanze.


Quella mattina condivisi il momento di ilarità col chercheur, che soffocò le grasse risate con me, nonostante il mattino prima dell'alba non sia il suo momentomigliore. Gli dissi che mi sarebbe piaciuto lanciare sul blog un contest per la foto più brutta dei nostri pargoli, chè a mostrare foto bellissime siamo bravi tutti, ma é davanti all'orrore che la competizione potrebbe farsi dura. Ed io sono sicura di vincere.
Però, già s'è capito, Il chercheur che è uomo puro, probo e riservato, mi ha vietato di postarla, questa come qualsiasi altra, ma soprattutto questa. Nonostante Pisti sia irriconoscibile. Una maschera d'orrore trasfigurato dal contatto col vetro. Sostiene, oltre a  tutto il resto, che diffonerla è una mancanza di rispetto nei suoi riguardi. Mannaggia quanto è dura aver per marito una sorta di papa laico.


Quindi,niente, avrei potuto farvi ridere, invece ciccia.
...e se facessi di quella foto la cartolina di auguri di Natale ad amici e parenti? mmhuaaaaaaa

02 December 2013

Il marito dell'altra panchinara (e.c.)

Non si vive solo di sogni romantici, ahimè, c'é anche da portare a casa la pagnotta. E come ha solo accennato in un post che parlava di panchine, di sport, di grinta ed entusiasmo, per Squabus il futuro lavorativo non è che sia poi così roseo,  per lo meno là sul binario dove si trova. Dovrebbe scendere dal treno, tirare fuori la mappa e studiare una via di fuga. Invece se ne resta lì seduta, si impegna a fare il suo dovere quotidiano, ma per il resto, guarda fuori dal finestrino, si gode il panorama e la piacevole compagnia, aspettando che un miracolo la porti da qualche parte, anche se sa bene che così perseverando non andrà molto lontano. Ma quella del treno, comunque, è un'altra storia.

Per dire che Squabus non è l'unica panchinara, Qualche giorno fa sulle scale ne ha incrociata un'altra, con cui chiacchiera talvolta. Ha un bimbo di 18 mesi e uno di tre o quattro, è panchinara da ben più tempo e gira voce sia in gambissima. Tanto che, dovesse liberarsi un posto da titolare, andrebbe certamente prima a lei, che a Squabus.


Squabus l'ha incrociata sulle scale, mano nella mano con un biondino alto intorno al metro, ma era incerta se fosse il primo o il secondo. C'era in quei giorni uno sciopero contro la riforma degli orari scolastici (altro argomento parecchio interessante su cui prima o poi un post ci dovrebbe proprio scappare), di bimbetti se ne sono visti un po' bazzicare per l'istituto.
- Ma che bel marmocchietto! E' tuo immagino?
- Si. 
- C'è sciopero anche oggi? 
La panchinara dice che no, che suo marito aveva un impegno e quindi le ha lasciato il piccolo per un'oretta.
- Ma perchè voi niente crèche (il nido)? Niente nounou (la tata)
Dice:
- No, mio marito è homme au foyer [che sarebbe come a dire che è casalingo stay at home dad***]
- Ma per scelta o necessità?
- No no, per scelta, dice lei.
- Ah! fa Squabus

La panchinara, apparentemente, ha un'altra marcia in più. E se anche le altre sono così, Squabus è spacciata.


***Errata corrige
OK, non chiamiamolo "casalingo," che implica una durata indefinita del suo status e poi non è  nemmeno una bella parola.  Chiamiamolo stay at home dad

01 December 2013

Là dove dormono i tram

Andiamo su per Sans âme, ma invece che girare a sinistra per Frittole, proseguiamo dritti, verso la banlieue. Poi deviamo solo un attimo a sinistra e attraversiamo gli orti. Nell'ultimo tratto ci tocca scendere col passeggino lungo una scala, ma i gradini sono 'lunghi' e poi ne vale la pena,  così arriviamo alla meta di faccia, o come in un tuffo di testa. A capofitto.  Infine ci ritroviamo l'agognata scenetta davanti agli occhi, in tutta la sua maestosità.

Una volta giù dalla larga scalinata, infatti, ci troviamo davanti ai tram che dormono. Durante la settimana ce n'è che qualcuno. Per lo più quelli blu, con le rondini disegnate sopra (chè Pistacchio guardando il librino di Matisse preso in mediateca tutto contento esclama: Tam!) Nel week end invece pare che sono tutti lì, a riposare, una distesa di tram sotto i nostri occhi.


Mi piacerebbe che qualcuno ci fotografasse, mentre ce ne stiamo lì seduti. Lui sul suo passeggino, io affianco, per terra. Restiamo  in silenzio, in attesa. Guardiamo i tram che dormono. Aspettiamo, speriamo che ne arrivi uno.
E secondo me siamo bellissimi. Ma poi ha ragione il chercheur: questo blog è meglio di un album di foto. Ogni tanto gli leggo un vecchio post e lui, ogni volta,  mi ripete: questo è molto meglio di una foto! E allora io me la scrivo quella foto.


Non lo so più quando e come è nata questa passione per i tram. So che nelle nostre passeggiate per la campagnetta di Frittole, finivamo spesso proprio lassù, sopra il deposito dei tram. Un giorno mi scappò forse di dire che i tram stavano facendo la nanna (poi, tra l'altro, mi sono ritrovata spesso a riflettere su cosa implichi davvero la personificazione degli oggetti inanimati, se sia una cosa buona e giusta). Un altro giorno un tram arrivò al deposito. Fece il suo inconfondibile tin, poi si infilò in un tunnel per una doccia veloce, il tram-lavaggio, come quello delle macchine, però a grandezza tram. Uscì dall'altro capo del tunnel, per poi ritornare verso di noi, allinearsi con gli altri tram e, infine, addormentarsi, non senza aver fatto quel versetto tipico e caratteristico del tram che si addormenta.  Si vede che anche i tram hanno la loro brava bed routine ;)


Poi un bel giorno, nel mezzo di un tantrum di quelli tosti, mi ritrovai, questione di trovare qualcosa a cui dare voce, a descrivere al Pistacchio Furioso la scenetta del tram che entra dal cancello, si infila nella doccia, fa il giro e si ferma vicino a tutti gli altri a fare la nanna. Via via che raccontavo Pistacchio si calmava, appena finivo di descrivere la scenetta, lui subito chiedeva , che sarebbe a dire: encore e cioè ancora. E io, paziente, ripetevo dal principio. Intanto tra me e me pensavo:  Ma guarda tu che persino la routine del tram lo calma, che cosa curiosa. Il tram intanto fu proclamato Santo Subito. E probabilmente della sua potenza conciliatrice se ne fece un uso smodato e spropositato.

Fu così che ci ritrovammo, praticamente ogni santa passeggiata, seduti a guardare i tram che andavano a dormire. Ad aspettarli, a sperarli, a gioire se e quando uno finalmente si degnava di arrivare. Intanto di tram ne prendevamo anche volentieri, durante i nostri pomeriggi insieme. Ci facevamo portare, e riportare. Una volta, mentre tornavamo a casa dal centro, si sentì un colpo ed esplose un finestrino, quasi affianco a noi. Ancora ce la raccontiamo, io e Pistacchio, quella botta potente e lo scompiglio che ne seguì. Tam bum! Che poi significa La finestra del tram ha fatto bum! Per fortuna nessun ferito.



Intermezzo. 
Quando vivevamo in Francia, ma la prima volta, una sera, io ed il chercheur, allora fidanzatini senza prole, eravamo a cena da zia Mila. C'era anche un amico di Sciro, un tal Esse. Insieme al quale anche il chercheur era andato a pescare una volta, annoiandosi mortalmente. Questo ragazzo aveva una vera e propria fissazione per la pesca. Non faceva altro che parlare di quello. Raccontarono le avventure della loro ultima uscita, dei pesci che avevano preso, di quelli che avrebbero potuto. E passi, ascoltammo il resoconto, come si chiacchiera del più e del meno. Poi la conversazione deviò altrove. O almeno cercò, perchè di qualsiasi cosa parlassimo, Esse riusciva sempre a tornare alla pesca. E disquisiva dei pesci più grossi che aveva preso. Di quelli che sognava prendere. Finimmo a parlare del natale, Esse raccontò di quell'anno in cui suo padre gli regalò un peschereccio giocattolo e di quanto era felice. Io e Mila ci guardavamo tra lo scocciato e il divertito. Comunque lo ascoltammo raccontare del peschereccio. Poi la conversazione prese  a vagare ancora una volta. Chissà come e perchè finimmo a  parlare di segni zodiacali. Quando domandammo a Esse, diventato silenzioso, E tu di che segno sei? Quello di rimando rispose: Pesci... Io e zia Mila scoppiammo a ridere una di quelle belle risate grasse in faccia ad Esse, che ancora ce lo raccontiamo. Difficile ridere tanto di gusto. Quando Zelig ce l'hai vivo, vegeto e reale di fronte a te, restare seri è impossibile.


Ecco, questo per dire che Pistacchio coi tram è un po' come Esse con la pesca. E questo non è un complimento per il caro Esse, non che Pistacchio non sia un gran figo, è un bimbino fighissimo nel suo 22esimo mese. E per lui tutto è tram. I kapla, come i lego, sono tram che lui allinea pazientemente, uno di fronte all'altro. Matisse gli fa pensare ai tram. Il logo di Montepello lo fa gridare tram, perchè fa capolino sulla fiancata di ogni vagone. Anche le M di Montepello che ci sono in giro sui depliant: tram, anche se sulla fiancata non ci sono. Per dirla tutta anche davanti ad una pagina bianca lui è capace di esclamare: Tram! Talmente tanto e sempre tram che noi iniziamo anche a stufarci un tantino.

Anche la luna lo fa vibrare alquanto. Gli piace parecchio scorgerla nel cielo, prova soddisfazione ad additarla nei libri. Quando aveva iniziato a sospirare o nuna nuna, puntando al cielo, avevo buttato al chercheur:  
- Perchè non compriamo una di quelle lampade a forma di luna da attaccare alla parete? Visto che gli piace tanto. 
Il chercheur che è francescano dentro, fuori e pure di fianco, e dedica la sua vita all'ascetismo, alla purezza, alla rinuncia, per fortuna non al cilicio, ma poco ci manca... Il chercheur mi rispose, dall'alto della sua saggezza, o dal piedistallo del Saint-Exupéry de noantri:  
- Se la mettiamo nella sua stanza, la troverà sempre lì, finirà la ricerca, la gioia del trovarla nel cielo, la poesia. 
- Sarà, dissi io, niente luna sulla parete allora


Ma la luna, nonostante la sua aurea romantica, non può competere con il tram. E noi a dirla tutta a sentir parlare di tram iniziamo a non farcela più. Qui la campagna per la banalizzazione del tram quasi quasi inizia. Gigantografia di tram Montpellierano, per parete stanzetta, cercasi. Stavolta è il chercheur in persona a stampare i volantini.


Il post era stato pensato corredato di simpatiche foto. Ma magari un'altra volta, che è già tanto che riesco a postarlo...