14 April 2013

Ciclo-politica


Il chercheur ha dei lati minimal-integralisti, come raccontavo anche in quel post noiosissimo sulla logistica casa-nido-lavoro (volendo anche in quel vecchissimo post dove dicevo delle gioie e dolori di un forno nudo - e di come andai a fare i miei colloqui di lavoro olandesi da un campeggio, con tanto di fila per la doccia....).

Il più delle volte ci troviamo d'accordo e condividiamo felicemente gli integralismi. Quello del momento è legato appunto al tragitto casa-nido-(casa)-lavoro per lui e casa-lavoro-(casa)-nido per me.



Le regole del gioco sono:
  • due genitori che lavorano, 
  • un Pistacchio che va al nido, 
  • un papà che lo accompagna, una mamma che lo va a prendere. 

Mezzi a  disposizione: due bici, una macchina, doppie chiavi per tutto, tranne per il telecomando del garage sotterraneo che ospita sia bici che macchina. Quindi: un mazzo di chiavi che neanche San Pietro, e tutto un procedimento per entrare e uscire in bici che neanche le dodici fatiche di Asterix....

Elementi aggiuntivi: mamma e papà lavorano in due edifici dirimpettai, i cui parcheggi, disponibili in abbondanza, sono divisi da una strada. Entrambi però venerano fortemente il ciclo (una dei due ne venera addirittura due...... anzi  uno e mezzo).

Adoro andare in bici e detesto rinchiudermi in macchina, quindi non faccio fatica ad assecondare questo integralismo, anche se non mi permette la massima ottimizzazione possibile in termini di tempo per andare a prendere il Pistacchio. Per una ottimizzatrice questo implica parecchio fastidio e... fatica mentale.
E allora, non potendo ottimizzare sulla dimensione temporale, ci provo in altro modo e faccio del mio percorso in bici casa-lavoro-casa un manifesto politico.

Il percorso casa-lavoro è molto breve, ma attaversa un punto super trafficato. Un rotondone dal diametro che non ci si crede, con tanto di semafori aggiuntivi per regolare il passaggio del tram che prende la rotonda e gira a sinistra, tanto per semplificare la viabilità. Un applauso a chi ha concepito questo piano. Io attraverso una strada subito prima della rotonda, giro a sinistra come il tram, ma in contromano passando su un enorme marciapiede. Infine mi tocca  riattraversare il mega stradone per emarciparmi dal rotondone malefico e ritrovarmi finalmente sulla pista ciclabile. Alle 8.15 (e poi alle 17 in senso inverso) quando faccio queste operazioni ciclistiche il traffico è prepotente. File di macchine si apprestano al rotondone, e senza alcuna pietà occupano le strisce pedonali sulle quali io vorrei passare per attraversare l'inferno. Sarebbe troppo facile sbraitare contro l'automobilista incazzato in colonna. Quel che io faccio è scendere leggiadra dalla mia bici, e spingendola -è pur sempre un attraversamento pedonale- indossato il mio sorriso più smagliante mi metto allegramente a fare la gimcana tra gli automobilisti di pessimo umore.  Arrivata dall'altra parte, come una Caronte di me stessa -solo che dall'altro lato il mio inferno è finito- rimonto in sella, ancora più raggiante, faccio un piccolo movimento col viso, scuotendo i capelli e sorrido leggermente beffarda. Come dire poveri avvoi inscatolati come sardine. E riparto.
A me pare un lieve ma efficace gesto ciclo-politico.

Meglio un cartello sulla schiena ?

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Lo scrivo, non lo scrivo, quasi quasi lo scrivo. Ma no dai...
E' lo stesso che penso anche io quasi ogni volta.
Ma tu prova, prova a lasciare una traccia.
Non sarà invano.

Prova pro-pro-prova