11 November 2007

Invidia del Piccolo Ranger


Balcony House, Mesa Verde National Park, CO.


Un post catartico.

Un bamboccio di cinque o sei anni se ne stava con i suoi genitori, poco distante da noi, nel parcheggio di Balcony House, al Mesa Verde National Park. Aspettavamo tutti il ranger che ci accompagnasse per la visita guidata. Non ricordo se fu la mamma o il bimbo stesso ad approcciare il ranger al suo arrivo, sarebbe stato un dettaglio interessante. Però ricordo esattamente lo sguardo dritto, diagonale, del bamboccio, occhi fissi in quelli del ranger. Non quello sguardo dove sono gli occhi che si muovono in alto a cercare gli occhi dell'adulto (o del superiore), ma quello dove è tutta la testa ad inclinarsi fiera e sicura. Quello sguardo che a casa mia (quella di oggi) si definisce a 270 gradi. Facile riconoscerlo in un adulto: presente quando uno, indipendentemente dalla sua altezza relativamente alla tua, inclina la testa in alto e poi fa sì che siano gli occhi ad andare su una diagonale, dall'alto al basso? Interessante notarlo in un bambino.
Il bamboccio stava partecipando al programma di Junior Ranger organizzato nel parco ed aveva alcune importanti domande da fare al Ranger. Lo guardavo, con quello sguardo benevolo da persona adulta, mi ascoltavo dentro pensare guarda che carino, ma poi in fondo, proprio in fondo, si però adesso fatti da parte e passiamo a cose serie. La scena invece sembrava interminabile, la Rangeressa rispondeva al marmocchio, poi lo ascoltava di nuovo ed annuiva, rilassata, non che si chinasse a parlargli come si fa quando si ha a che fare con una cosa piccola. La mamma intanto se ne stava in disparte, assistendo alla scena.
Realizzavo che mi si stava rivelando il segreto di tutti gli sguardi fieri, oh quanti, che avevo visto nei mesi di permanenza in terra yankee. Pensai che quel momento era un piccolo pezzettino essenziale per l'uomo che quel marmocchio sarebbe stato domani. L'immagine mi perseguita da allora.

Quale bambino non vorrebbe essere un junior ranger?
Eppure torno indietro nella memoria e non mi vedo mai piccola ranger. Piuttosto vedo mio padre con quello sguardo benevolo guardare me, piccola cosa, e farmi vergognare della speranza di poter sperimentare in grande la mia piccolezza. Non ricordo neppure di me osare desiderare di essere un piccolo ranger. Si guardavano gli altri bimbi fare i piccoli adulti, noi nell'angolo, con lo sguardo benevolo, di chi la sa lunga e non indulge in sciocchezze fatte per ingenui marmocchi che giocano ai grandi.
Ho imparato tante altre cose in casa mia (quella di ieri), ma non ad osare, ad uscire fuori dall'angolino, col coraggio di essere parte attiva e sicura del quadretto.

E' una nazione che viaggia a 270 gradi questa qui. Chi abbassa la testa è fottuto. Sto lottando per trarre da questo continuo stato di allerta, quel che può insegnarmi ad essere una persona più in pace con se stessa, soprattutto nell'interazione con L'Altro. Sto lottando -anche- contro l'arroganza che va spesso di pari passo con la sicurezza di sé. Ho a che fare tutti i giorni con Junior Ranger solo un attimo più cresciuti che si prendono per grandi scienziati e per grandi uomini di giustizia. E mi rendo conto della contraddizione: educata al tacito monito chi ti credi di essere?, non tollero la presunzione arrogante (e volgare), soprattutto in chi è più giovane di me. Eppure invidio, tardiva, i junior rangers. Ci sia il rischio che io rovesci quella specie di sopruso che avverto di aver subito e lo perpetui? Me lo domando seriamente.
Quanto ai piccoli ranger cresciuti, non li guardo benevola. Tutt'altro. Inorridisco quando si permettono di sparare a zero o di criticare senza alcun rispetto il lavoro degli altri, perché loro sono meglio, sempre e comunque. Ma anche, solo, rabbrividisco, quando parlano (con te o con un altro studente, fa uguale) e si stravaccano, sbam, i piedi dritti sul tavolo. Come non lo sopporto.
Immagino che inizialmente mi si è etichettato come quella debole, forse ancora adesso. Ma credo, spero, che nel tempo stia riuscendo a costruire la mia rispettabilità. Quando i marmocchi cresciuti si mettono in cattedra, sono io quella che gliela fa saltare da sotto i piedi. Per lo meno questa è la missione che mi sono data. Con mia somma meraviglia, e per ben due volte, ho messo al suo posto la masterizzanda-che-non-si-vuole-masterizzare, che stava iterando nel suo tono di profondissima arroganza e questa m'è scoppiata a piangere. Il salto dall'arroganza più completa alle lacrime disperate m'ha talmente spiazzata che quasi le dicevo che mi dispiaceva. Per la prima volta in vita mia ho sentito il brivido dell'educatore (o del professionista?) ed ho resistito al pronunciare qualsiasi parola di consolazione. Zero doppi vincoli, che ti fanno male. Io sono un tuo collaboratore, sto lavorando con te e tu non ti devi permettere di fare l'arrogante aggratis con me. Punto. Non so bene chi delle due stavo cercando di educare. Entrambe, suppongo.

Ma ho perso la messa a fuoco. Si parlava di americani, tra educazione e cultura...


Continua. Forse...

3 comments:

  1. Avevo lasciato un lungo commento, ma e` comparso un messaggio di errore ed e` sparito tutto. Ci riprovo.
    Scrivevo che da un paio di giorni penso a quello che hai scritto, perche` molto simile a certi pensieri che mi vengono da quando sono qui. Quest`anno nel mio dipartimento siamo arrivate in due, io direttamente da un`universita` giapponese e una mia collega da Seattle. Tutte e due piu` o meno alle prime armi. Dal primo momento penso che siamo un ottimo esempio di atteggiamenti completamente opposti di porsi, con i nuovi colleghi, il capo del dipartimento, il nostro lavoro. Quando sento le sue `autopresentazioni` un po` la invidio, vorrei essere cosi` decisa e sicura di me stessa e di quello che faccio. Ma allo stesso tempo provo un senso di vergogna. In Giappone sarebbe assolutamente inopportuno un atteggiamento cosi` autoelogiativo, soprattutto da un nuovo docente. Qui in NZ non ho ancora ben capito come funziona, ma provero` a pensarci un po` e forse saro` in grado di lasciarti un commento meno sconclusionato.

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  2. La vergogna... non l'ho citata, ma avrei dovuto.
    Quella che potrebbe anche essere "pena" se non fosse che provare pena per un uno che ha le manie di grandezza suona strano?

    Sono curiosa delle tue riflessioni sulla NZ e perche' no anche sul Giappone... forse dovrei prenderlo in considerazione come casa futura!
    Ti ringrazio di cuore del commento e di aver lottato con bloglines per lasciarlo!
    :)

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  3. finalemente due minuti x leggere, e che bella lettura!ti immagini quanto mi piace sentirti parlare di doppio legame?!?!? crispi

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Io lo so cosa stai pensando.
Lo scrivo, non lo scrivo, quasi quasi lo scrivo. Ma no dai...
E' lo stesso che penso anche io quasi ogni volta.
Ma tu prova, prova a lasciare una traccia.
Non sarà invano.

Prova pro-pro-prova